Quando: martedì 8 novembre 2022, ore 21.00
Relatore: Mauro Zanchi
Dove: Online tramite ZOOM per gli tutti associati 2022
IN COLLABORAZIONE CON
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La metafotografia dal XIX secolo al futuro
Dopo il 1839,
fotografia e metafotografia sono state una accanto all’altra, agendo secondo modalità e intenti con prospettive differenti: la prima era legata al momento decisivo, all’attimo che coglie una porzione della realtà attraverso un click, alla documentazione degli istanti nella storia, e a molto altro ancora che tutti abbiamo ben presente, anche nel campo artistico; la seconda, invece, è sempre stata attratta dal processo insito al medium fotografico, dalle questioni concettuali, dai cortocircuiti, dalle espansioni verso altri media, dalle ibridazioni, dalle aperture dei tentativi avanguardistici, dalle intuizioni artistiche preveggenti, dalle scoperte scientifiche e tecnologiche che innescano nuove metafore.
La metafotografia si è svolta attraverso continui passaggi di consegna e metamorfosi in ogni periodo susseguente alla invenzione della fotografia: dalle sedute spiritiche (da leggere anche come performance simili a quelle messe in atto nel campo dell’arte contemporanea) e le susseguenti immagini create attraverso una postproduzione ante litteram di William Howard Mumler negli anni Sessanta del XIX secolo, al fucile fotografico (1882) di Étienne Jules Marey, alle ombrogramme (1887) di Ernst Mach, che hanno reso visibili le onde d'urto intorno a un proiettile a velocità supersonica, al ready-made rettificato
L.H.O.O.Q. (1919) di Marcel Duchamp, dove il gesto grafico e la rilettura intervengono sulla riproduzione fotografica di un dipinto celeberrimo del Quattrocento, ai fotomontaggi di Aleksandr Rod?enko negli anni Venti, alle reinterpretazioni surrealiste delle photo trouvée, alle installazioni estensive di El Lissitzky nel Padiglione sovietico dell’esposizione internazionale “Pressa” di Colonia, nel 1928, ai collage di Hannah Höch e di Helmut Herzfeld (John Heartfield), alle litografie su tela e photomatic di Andy Warhol, alle
Verifiche di Ugo Mulas, a
Camera Recording its Own Condition (7 Apertures, 10 Speeds, 2 Mirrors) di John Hilliard, alle immagini scaricate dalla rete e riproposte da Thomas Ruff con la vista ingrandita dei pixel, fino alle ricerche e opere di Trevor Paglen e degli artisti metafotografici attuali.
Nel terzo decennio del XXI secolo la visione umana è solo una possibile tra altre alternative, e così
la metafotografia attuale si ispira alla visione delle “tecnologie intelligenti che vedono” e a quelle animale e vegetale, guarda insomma a quelle immagini che un essere umano non può visualizzare. È la dimensione in cui non è l’essere umano a guardare le immagini, ma sono le immagini che guardano gli individui incastrati in una trappola, che le generazioni precedenti alle nostre avevano messo in azione e che noi abbiamo accettato passivamente e forse inconsciamente ri-costruito con i nostri stessi sguardi.
Metafotografia ha avuto la fotografia come incipit, ma
è una critica al futuro presente scritta attraverso un’analisi della visione. In questo periodo affollatissimo di immagini, analizzare ed esaminare i flussi visuali e tutto quello che rimane pressoché invisibile nella loro struttura significa anche prendere lucida consapevolezza che uno spazio ambientale così iconico è il prodotto di una storia ancora schiava della circolazione e della mercificazione. Il termine “metafotografia” è inteso in un primo momento come metalinguaggio del medium fotografico,
ovvero il linguaggio di cui la fotografia si serve per analizzare se stessa e per interagire con altri sistemi, e in un successivo passaggio inteso anche come un’apertura estensiva verso altri media e alterità del possibile.
Come si può aprire il linguaggio fotografico verso una interazione con complessi sistemi di conoscenza che rivoluzionano il medium stesso? Quando la fotografia diventa “altro”, una delle aperture estensive verso altri media, si innesca un processo che consente di veicolare immagini anche senza macchine fotografiche, portando ciò che generalmente è confinato nella disciplina fotografica in una deriva o in qualcos’altro rispetto alla “scrittura di luce”. Siccome l’incontro con il digitale ha disseminato il fotografico ovunque, attraverso inedite ibridazioni e nuove alleanze, la processualità che forma l’immagine ha mutato lo statuto della visione.
Si è cercato di
comprendere come la cultura visuale abbia cambiato forma e statuto, anche staccandosi dall’occhio umano per diventare altro. Le immagini digitali possono essere lette dalle “tecnologie che vedono” in un modo completamente diverso da come le leggerebbe un essere umano. Quale è il futuro di una immagine che non ha bisogno di essere trasformata in forma leggibile dagli umani perché una “tecnologia intelligente che vede” possa fare qualcosa con essa?
Nello spaziotempo che intercorre tra una fotografia realizzata con uno smartphone - viene creato un file leggibile dalla macchina, che non è percepibile come immagine da un occhio umano - e la fruizione di questa immagine da parte di un altro umano o da una agenzia che raccoglie informazioni che cosa accade o si mette in moto?
Notizie biografiche
Mauro Zanchi è critico d'arte, curatore e saggista. Dirige il museo temporaneo BACO (
Base Arte Contemporanea Odierna), a Bergamo, dal 2011. Le pubblicazioni più recenti sono:
Luigi Ghirri. Pensiero paesaggio (Silvana Editoriale, 2016),
Mario Giacomelli. Terre scritte (Silvana Editoriale, 2017),
Arte e magia (Giunti, 2018),
Nino Migliori (Humboldt books, 2020), A
rte ed eros (Giunti, 2020),
Arte e alchimia. Dall'antico al contemporaneo (Giunti, 2021),
Metafotografia 1+2+3 (Skinnerboox, 2019-2021),
La fotografia come medium estendibile (Postmedia books, 2022),
Arte e gioco (Giunti, 2022). Scrive per Art e Dossier, Antinomie, ATPdiary, Doppiozero.